Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

HOME      Archivio      Scritti, Video e Quaderni Cipec      


Scritti e Materiale Vario di Sergio Dalmasso - Quaderni CIPEC

Effettua una ricerca oppure sfoglia l'archivio per categorie


Ricerca:       



intro libro foto Torino  2006   Torna alle categorie

Sergio Dalmasso

 

Oltre il ’68: i complessi anni ’70.

 

Una lunga stagione

A distanza di circa quarant’anni, il ’68 è letto come fenomeno internazionale e come intreccio, unico e irripetibile, di diversi fattori:

- la protesta studentesca contro la scuola e il tipo di cultura da essa offerto (metodo e contenuti)

- la protesta operaia contro la fabbrica fordista

- la lotta anti imperialista che investe più continenti, contemporanea alla messa in discussione del “socialismo reale”

- lo scontro generazionale, sempre esistito, ma mai così forte e lacerante.

L’intersecarsi di questi elementi produce un’esplosione mondiale, da molti avvicinata al lontano 1848 europeo, segnata dalla guerra in Vietnam, dalla rivoluzione culturale in Cina, dal movimento nero negli USA, dai tentativi rivoluzionari (icona: il Che) in America latina, dall’ulteriore aggravarsi della questione palestinese, ma anche dall’evidente crisi di consenso dei regimi dell’est Europa (la repressione della “primavera di Praga”).

Accanto ai grandi temi internazionali, il movimento studentesco e giovanile vive una inusuale e inattesa politicizzazione dei giovani, in una complessa dialettica tra progetto di liberazione sociale (la ricerca di teoria e organizzazione rivoluzionarie) e individuale (ne sono testimonianza la musica, il cinema, il teatro dell’epoca), mentre il movimento operaio sembra, per una fase, tornare al centro dello scontro politico e sociale, riattualizzando le analisi marxiste.

Mentre nella quasi totalità dei paesi questa stagione ha avuto durata breve ed è sembrata esaurirsi, in Italia la durata di movimenti di protesta e la ricerca di una alternativa è durata per tutto il decennio successivo, non bruciandosi nel volgere di pochi mesi.

Ne sono prova il peso del movimento sindacale, la conflittualità di fabbrica, le scelte anche esistenziali di decine di migliaia di giovani, l’estendersi del conflitto in settori da cui era tradizionalmente assente, la crescita elettorale dei partiti (soprattutto il PCI) della sinistra storica, i medesimi timori nei settori conservatori, culminati nei ripetuti tentativi di colpo di stato.

Ne è prova, però, in special modo, una inedita stagione dei movimenti, Caratterizzata da:

-          una sinistra operaia spesso conflittuale verso i sindacati e i partiti storici

-          un movimento studentesco presente nella più parte delle scuole

-          una contraddizione nella Chiesa cattolica che la investe a tutti i livelli e porta molti fedeli non solo a porre in discussioni aspetti dogmatici e liturgici, ma a compiere scelte politiche che rompono con l’identificazione: cattolico = democristiano e incontrano spesso le posizioni più radicali

-          l’impegno per i diritti civili, per lungo tempo sottovalutati a temi sovrastrutturali

-          l’esplodere del movimento delle donne che supera progressivamente il tradizionale emancipazionismo, a favore del pensiero della differenza

-          la messa in discussione del carcere e del suo ruolo nella società

-          il moltiplicarsi, nelle professioni, di movimenti che non nascono su rivendicazioni categoriali, ma sulle finalità del lavoro stesso. Gli operatori si interrogano sulle finalità della propria professione, sulla sua proiezione nella società, anche all’interno dello scontro politico. Nascono Medicina, Psichiatria, Magistratura, Urbanistica… democratica l’impegno e l’opera di Franco Basaglia sono ancor oggi riferimento internazionale nel campo della lotta contro la malattia mentale

-          la messa in discussione del ruolo di polizia, esercito e di tutti gli apparati repressivi e la presenza, al loro interno, di spinte per democratizzazione, uso alternativo…

-          la critica all’uso tradizionale dei settori di informazione ( a cominciare da giornali e TV)

-          la forte, soprattutto nei contesti urbani, protesta per la mancanza di case con conseguente “pratica dell’obiettivo” (occupazione).

 

Questa interpretazione supera le interpretazioni per cui:

-          “tutto” si è bruciato nello spazio di pochi mesi

-          il movimento non è durato che un attimo, travolto dalla nascita dei gruppi politici che hanno riproposto vecchie tematiche, cancellando la freschezza primigenia e le novità di quanto stava emergendo

-          vi è una discontinuità totale fra un “’68 buono” e il dopo, segnato inevitabilmente da dispute ideologiche, parodie- teoriche ed organizzative- di rivoluzioni, dal prevalere dell’ipotesi marxista- leninista, o comunque di alcune fra le tante eresie del movimento operaio su frange libertarie ed eterodosse.

 

Il prima e il dopo

E’ chiaro, invece, che il “movimento” non nasca dal nulla, quasi per partenogenesi., ma abbia alle spalle tutto il travaglio degli anni ’50 (almeno dopo il nodale 1956) e dei primi ’60.

In sintesi: la messa in discussione dello stalinismo, il dibattito culturale e politico della “stagione delle riviste”, la protesta di massa contro il governo Tambroni, la rottura tra URSS e Cina, la rivoluzione cubana e il suo conflitto interno sulle scelte economiche, il centro- sinistra e la rottura del PSI, il dibattito Amendola- Ingrao nel PCI dopo la scomparsa di Togliatti, le prime riletture non ortodosse di Gramsci, l’eterodossia di Panzieri, il ritorno di spinte operaie, il confronto sull’ipotesi di “programmazione democratica”.

Se termini “a quo” possono essere il ’56 o il ’60, il termine “ad quem” può essere individuato nel 1977, quando la protesta giovanile avviene in forme molto diverse e in un contesto internazionale lontano dal quadro di dieci anni prima, con la morte di Mao e l’involuzione della Cina, la vittoria in Vietnam, nel quale esplodono, però, profonde contraddizioni, il crollo del fascismo in Portogallo, Grecia, Spagna, parallelo, però, agli scacchi in Cile e Argentina e in un quadro nazionale dove, dopo l’affermazione del NO al referendum contro la legge sul divorzio (1974) e la crescita elettorale nel 1975 (le giunte rosse), nel ’76 si ha la mancata sconfitta della DC.

La stagione che seguirà vedrà l’appoggio del PCI ai governi di “unità nazionale”, con il conseguente inizio del calo della sua parabola, la crisi dei gruppi di nuova sinistra, il crescere dell’ azione delle formazioni armate (l’assassinio di Aldo Moro è del 1978).

Egualmente motivato è spostare questo termine al 1980, anno della sconfitta operaia alla FIAT, segno inequivocabile della perdita di centralità della fabbrica e dello spostamento dei rapporti di forza tra le classi sociali.

Con gli anni ’80 di Reagan e di Margaret Thatcher hanno termine definitivamente la stagione dei movimenti, lo spostamento a sinistra, le grandi speranze collettive che lasciano sempre più lo spazio a scelte e percorsi individuali, alla progressiva trasformazione della politica.

 

Torino

Non avevamo più voglia di coprire supinamente i ruoli della classe dirigente, di diventare giudici ottusi e zelanti, giornalisti conformisti, progettisti di macchine per migliorare la produzione a scapito del lavoro, medici dediti a far denaro. Qualcosa si era rotto nella trasmissione fra le generazioni.

Le parole di Luigi Bobbio, tra i maggiori attori del movimento studentesco torinese, esprimono la critica alla società esistente, ai ruoli predefiniti, alle professioni usate per interessi individuali e non per finalità sociali. E’ uno dei motivi centrali del movimento studentesco che in Torino ha una della sue capitali e che qui presenta caratteristiche specifiche.

Nel suo splendido L’anno degli studenti (Bari, De Donato, 1968), Rossana Rossanda individua nella polemica contro l’autoritarismo il carattere centrale dell’iniziativa studentesca torinese, diversa dai temi focali di altre università (Pisa, Roma, Venezia…):

Scompaiono i dati materiali, quantitativi…L’accento è messo su quel che la scuola è come strumento repressivo, piuttosto che sui limiti di estensione…La forza nobilitatrice del tema “antiautoritarismo”si è fondata anche sulla fragilità che ha dimostrato l’apparato, l’establishment universitario non appena messo in causa e dissacrato. Di lui nulla è parso restare che la repressione pura, affidata a forze esterne.

Per Marco Revelli è centrale, accanto all’antiautoritarismo e più di esso, il tema della “comunità”:

Se dovessi sintetizzare con una formula la vicenda del movimento studentesco torinese tra la sua origine, alla vigilia del 1968, e la sua dissoluzione nel più ampio contesto delle lotte operaie del 1969, userei la formula ”dalla comunità alla comunità” (in Il ’68, l’evento e la storia, Brescia, Micheletti, 1989).

E’ Torino, quindi, una delle città in cui “l’anno degli studenti” è più vivo e partecipato. E’ Torino, anche per la sua natura di “città- fabbrica” la più significativa realtà che vede il tentativo di incontro fra studenti ed operai. Così lo tratteggia Guido Viale (in Il ’68 tra rivoluzione e restaurazione, Milano, Mazzotta, 1978):

Gli studenti vi portano una critica radicale della struttura gerarchica della società e delle sue forme di dominio (la lotta antiistituzionale, il bisogno di rompere l’isolamento per compartimenti stagni su cui esso si fonda in cerca di un collegamento con la classe operaia), la critica della vita quotidiana come asse privilegiato della lotta politica…Gli operai vi portano innanzitutto il senso materiale e terreno del proprio corpo; della propria salute che è “speranza di vita” in termini statistici e possibilità di viverla; degli orari, dei turni, dei manager, riposarsi, far l’amore: che è possibilità di distribuire più liberamente le proprie attività ogni giorno; della fatica, che è l’intensità con cui il lavoro viene erogato nell’ambito della giornata lavorativa, del salario, che è forma in cui ogni ora di lavoro viene ripartita tra chi fatica e chi si appropria della ricchezza prodotta; dell’odio per una vita condannata ad essere solo lavoro. Vi portano cioè il senso di sé più pieno: che è il modo in cui viene vissuto e speso il proprio tempo.

Qui la presenza degli studenti alle porte della FIAT è quotidiana. Qui si hanno gli scontri di corso Traiano, l’Assemblea studenti- operai, il convegno nazionale dei Comitati e delle avanguardie operaie da cui nascono, per analisi e concezioni organizzative diverse, Lotta Continua e Potere operaio. La prima delle due formazioni qui avrà uno dei suoi punti di forza a livello nazionale.

Alla FIAT, in occasione del rinnovo contrattuale del 1971, comitati formati dai due gruppi “operaisti” elaborano la prima piattaforma contrattuale alternativa a quella delle confederazioni sindacali e per anni, insistendo sulla centralità operaia, si dirà che I governi nazionali nascono e cadono a Mirafiori.

E’ Torino a segnare con la marcia dei 40.000 e la conseguente sconfitta operaia, la fine di un periodo segnato dal protagonismo di massa, dalla centralità operaia, dalla scelta rivoluzionaria, per una fase più o meno lunga, da parte di tanti giovani. E’ Torino a presentare una situazione sindacale specifica, con una CGIL atipica, spesso in conflitto con quella nazionale e più attenta alle novità del conflitto operaio (non è un caso che quattro suoi dirigenti- Vittorio Foa, Sergio Garavini, Emilio Pugno e Gianni Alasia- scrivano sul primo numero dei “Quaderni rossi”), con una parte della CISL duttile, non ideologica, e capace di superare vecchi steccati e di leggere, più di altri sindacati, le spinte egualitarie provenienti da settori operai.

Le belle foto di questo libro ci parlano di una città, ma anche di un paese, in cui l’espansione economica dei decenni precedenti si è arrestata, in cui la crisi energetica ha messo a nudo molti dei limiti strutturali, in cui la produzione è in calo, l’indice di inflazione è il più alto dei paesi occidentali, l’economia sommersa cresce. La capitale industriale italiana sente il peso di queste difficoltà, le industrie locali vivono crisi continue, l’Olivetti inizia un declino irreversibile, la FIAT non ha saputo (o voluto) rinnovarsi e non regge la concorrenza internazionale.

Nella prima parte del decennio, la presenza della sinistra è in forte crescita. I “gruppi” hanno peso non solamente nel mondo giovanile, comitati e associazioni nascono su questioni tematiche e territoriali, sindacati e partiti sono percorsi da spinte, critiche e discussioni, i consigli di zona nascono su iniziativa sindacale e contribuiscono a costruire una rete sul territorio, le lotte di fabbrica creano un intreccio territoriale nel quale spesso le vertenze aziendali si sommano a quelle territoriali (casa, trasporti, servizi, prezzi…).

La crescita è indubbia sino al 1976.

E’ inutile ricordare come il referendum sul divorzio (maggio 1974) veda una città profondamente cambiata, anche a livello culturale, di costume e di comportamenti e come il 1975 segni l’affermazione di giunte di sinistra (Viglione- Libertini in regione, Novelli in comune) che sembrano segnare una svolta profonda.

L’amministrazione Novelli innesta trasformazioni dall’aumento delle case popolari alla modernizzazione dei trasporti, dalla crescita dei servizi sociali alla limitazione della speculazione edilizia, dalla politica culturale al sostegno ai settori colpiti dalla ristrutturazione industriale.

Difficile e contraddittorio il rapporto con i “gruppi capitalistici” verso cui pure si hanno, almeno inizialmente, aperture.

E’ il 1976 a segnare una svolta. Alle elezioni politiche che dovrebbero dare una spallate al sistema di potere della DC, portare al governo delle sinistre, prima tappa per una alternativa o per uno scontro rivoluzionario, la DC regge e recupera, il PCI raccoglie tutta la protesta e la volontà di cambiamento, la nuova sinistra (la sigla è DP) è costretta a prendere coscienza della propria inadeguatezza. La conseguente crisi di Lotta Continua è particolarmente evidente a Torino dove è stata per anni la formazione egemone nella nuova sinistra: Le lettere a Lotta Continua, quotidiano che regge ancora per tre anni e che raccoglie tutto il disagio, soprattutto giovanile, testimoniano i mille rivoli, in cui, crollato il collante (l’operaio massa come centro dello scontro politico non solo nazionale) si divide una formazione politica e si dividono le tante storie personale dei suoi aderenti: la riproposizione della centralità operaia, la critica del femminismo, la protesta giovanile netta anche verso le forme tradizionali della politica, la ricerca di tempi personali compressi per lungo tempo, in alcuni casi il passaggio a formazioni armate o la disperazione individuale (le morti per overdose si impennano negli anni successivi al ’76, cioè dopo la fine della “speranza politica” e della certezza di “tempi brevi”).

Torino vive, nel novembre 1977, l’assassinio del giornalista Carlo Casalegno ad opera delle Brigate rosse, nella provincia si hanno in un breve arco di anni 24 morti, 48 feriti, un migliaio di atti terroristici. Tre morti tra i funzionari della FIAT. A Torino sorge il centro più significativo di Prima linea (Donat Cattin, Sandalo, Rosso), intreccio tra fuorusciti da Lotta Continua e organizzazioni armate già esistenti. La sua struttura, a differenza di quella delle BR, sceglie il modello della semi clandestinità, della creazione di organismi collaterali e del mantenimento di rapporti stretti con l’area dei movimenti. Scomparirà dopo l’arresto di molti suoi dirigenti nel 1977 e soprattutto nel 1980, dando vita ad un caso nazionale (Marco Donat Cattin è figlio del vicesegretario della DC, Carlo e il PCI  accuserà il Presidente del consiglio Cossiga di averlo favorito).

 

Le fotografie parlano di noi

Le belle fotografie in bianconero (come dicono gli esperti di cinema è anch’esso un colore) di questo libro, frutto del lavoro “militante” di fotografi e grafici, ripercorrono una piccola storia “di parte” del decennio torinese.

E oramai un luogo comune, storiografico, ma soprattutto dei media, identificare il decennio ’70 con gli anni di piombo, un seguito ininterrotto di violenze, attentati, morti, scontri tra fazioni opposte, teorizzazioni e pratiche violentiste. Alla valutazione contribuiscono tanti “pentiti”, spesso corteggiati da giornali, spesso autori di memorie tutte “soggettive” e non esenti da astio, sovente finiti a pontificare, con certezze pari a quelle espresse in gioventù, su fronti politici e culturali opposti a quelli di allora.

Anche lavori come questo debbono ripetere che le equazioni movimenti = violentismo, anni ’70 = sangue, ’68 = cantiere del terrorismo sono errate.

Alla nostra parte politica spetta di interrogarsi sui motivi che hanno portato ad errori, a derive, a sconfitte che paghiamo ancora oggi. Spetta di compiere un bilancio sulle cause che hanno portato il comunismo, grande ideale di liberazione e di riscatto, massima speranza laica per milioni e milioni di uomini e donne, a trasformarsi spesso nel suo contrario e, per il nostro paese, ad analizzare senza reticenze a deformazioni.

Le spetta anche, però, di rivendicare, con grande fermezza, quanto le spinte di massa, le lotte, le speranze, le energie innescate dalla seconda metà degli anni ’60 abbiano contribuito a mettere in discussione un sistema di potere vecchio ed ingiusto, a mettere in luce di che lagrime grondi e di che sangue.

Un potere accademico bolso, una industria culturale sempre più piegata a produrre consenso e conformismo, un potere economico che aveva schiacciato la realtà operaia, tentato in ogni modo di piegarne l’opposizione (i licenziamenti politici, i reparti confino…), mantenuto le contraddizioni territoriali fra nord e sud, una gerarchia familiare che entrava in contraddizione con la maggiore scolarizzazione dei giovani e con il loro aumentato potere di acquisto, un maschilismo imperante in tutti i settori della società sino ai rapporti personali.

Questo viene messo in discussione, contemporaneamente alla presa di coscienza sui grandi nodi internazionali, alla comprensione che imperialismo non è solamente un termine teorico e libresco ma determina i rapporti di forza internazionali, quelli fra le classi ed è la causa primaria che produce i dannati della terra.

Il fatto che l’Italia viva una lunga stagione di conflitto e di speranze e che Torino ne sia uno dei centri torna nelle immagini:

-          le tante manifestazioni in cui si urla la rabbia, ma anche la certezza che un altro mondo sia possibile

-          le scritte sui muri intreccio di proposta, di affermazione di sé, di fantasia,

-          le assemblee, studentesche, operaie, di quartiere, nuova forma di partecipazione, che riprendono il concetto di democrazia di base, che tentano di praticare l’egualitarismo e il rifiuto della delega (anche contro tanto leaderismo dei gruppi)

-          i primi maggio, rito, appuntamento, festa che a Torino assume una importanza particolare e che sembra segnare la presenza e la predominanza operaia nel centro borghese

-          l’autunno ’80, l’”aggrapparsi ai cancelli” nella vertenza FIAT, con il faccione del redivivo Marx, sino alla sconfitta finale

I volti sono quelli di tanti giovani le cui scelte sono state poi anche differenziate, gli striscioni di organizzazioni politiche non maggioritarie, ma la cui storia non deve essere cancellata, di donne che nell’impegno politico hanno incontrato uno degli strumenti per una comprensione del proprio specifico (forse il tema centrale, più “epocale” del decennio).

La nostra generazione ha avuto la singolare ventura di vivere speranze profonde e un amaro disincanto, ma soprattutto di essere la prima a cui si è chiesto di vergognarsi di quanto ha pensato e fatto e di rinnegarlo. Anche quella partigiana ha subito sorte simile, ma ha potuto rivendicare successi, affermazioni, vittorie (la sconfitta del fascismo, la repubblica, la Costituzione) che la hanno parzialmente legittimata, nonostante gli anni difficili e le umiliazioni vissute.

Tocca a noi, alle tante persone e storie che passano nelle immagini rivendicare non il vuoto (politico ed etico), ma la capacità di collegarci al passato, leggerlo in modo critico, proporre discontinuità, ma anche continuità verso il futuro.

La nostra vita non è stata inautentica, non abbiamo alle spalle un errore esistenziale da rimuovere, né dobbiamo fermare come feticci momenti magici, irripetibili, di gioventù.

Né sciocchezze estremistiche, quindi, né patrimoni da assolutizzare e rivendicare in toto.

Anche la storia, la radicalità le pagine di quegli anni possono aiutarci nel difficile cammino, senza rete e con poche e non assolute certezze, dell’oggi.

Grazie agli autori di quest’opera, grazie a chi allora fissò questi attimi, grazie ai tanti e alle tante protagonisti e protagoniste di un periodo che è lontano, ma vivo.